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Attualità e continuità tra provocazione futurista e anticonformismo Dada

1909. 1918. Nove sono gli anni che separano due manifesti simbolo di inizio secolo: il manifesto futurista di Filippo Tommaso Marinetti e il manifesto Dada, di Tristan Tzara.
Certo, definire manifesto quello dell’autore franco-romeno è una contraddizione in termini. Ma è proprio la contraddizione, insieme al paradosso, a costituire le fondamenta del movimento provocatorio nato nella Svizzera neutrale agli albori del primo conflitto mondiale. “Dada non significa nulla”. Quale manifesto invece che promuovere, dissuade? Quale corrente ideologica rifiuta i principi, da principio? Gli ideali borghesi, malvisti da tutte le personalità che si proclamano Dada, sono l’unico bersaglio da colpire con proiettili a salve di arte fastidiosa e insensata. Colpi a vuoto, sì, parole senza significato e un manifesto inconsistente e privo di contenuti validi, ecco gli anti-principi della poetica Dada. Totale libertà di scelta, relativismo massivo e una sorta di scetticismo eccentrico sono i cardini di un movimento che nasce per reazione agli orrori della guerra e per riportare l’uomo a una sua versione primigenia: forse proprio quel bambino che nella culla inizia a emettere i primi fonemi: da-da.
Redatto nell’anno in cui Giolitti consolida la sua maggioranza e in un’Italia liberale che guarda al progresso, quello del futurista Marinetti è il manifesto per eccellenza: un elenco puntato e numerato, ridondante e machista, di proposte, anch’esse provocatorie e dissacranti, a cui aderire in nome del progresso, della bellezza e di tutto ciò che esiste di innovativo e rivoluzionario. Composto in un clima di inconsapevole eccitazione nei confronti della violenza e dell’orrore imminenti, il manifesto promuove la visione della guerra come “unica igiene del mondo” e la devozione nella macchina, emblema lampante di rivoluzione e modernità. Estrapolando dagli undici punti pochi termini-simbolo: movimento-velocità-lotta-distruggere-violenza, elementi chiave per comprendere a fondo l’approccio dei futuristi alla vita.

Ma a dispetto delle differenze sul piano prettamente tematico e politico – più comprensibili se ricondotte al contesto sociale in cui, rispettivamente, si sviluppano – svariati sono gli elementi di continuità che si possono riscontrare tra le due correnti. Pensiamo all’emancipazione dalle regole grammaticali, all’uso di uno stile paratattico e spesso privo di proposizioni corrette dal punto di vista sintattico e logico; al desiderio esasperato di sperimentazione dal punto di vista artistico; allo spirito di ribellione dalle convenzioni formali e ideologiche che precedono le due correnti, o alla propensione per un ritorno agli istinti primordiali, in senso più propriamente teorico per i seguaci di Tzara e pratico, concreto per i Marinettiani. Destare scalpore per allontanarsi da ciò che era già visto e già conosciuto, vecchio, passato, per celebrare il momento presente: le serate-evento del cabaret Voltaire e del teatro Chiarella sono rispettivamente la culla della rivolta Dada e Futurista. Performance sconvolgenti, rivoluzionarie e surreali per far parlare di sé e fare arte, l’unico strumento di evasione da una realtà estraniante come quella proto-novecentesca.
La straordinaria ondata di innovazione portata dai due movimenti apre la strada a tutta una serie di correnti di ribellione nate in contesti differenti, ma in condizioni analoghe, che fanno proprio della performance dal vivo la loro forza: controculture e subculture centrali per comprendere la storia del Novecento come Beat Generation, Situazionismo, Hippie e Punk, in contrasto con il conformismo obnubilato che caratterizza le epoche in cui sorgono, ci riportano alla provocazione e alla protesta che comparvero per la prima volta in maniera così eclatante sui manifesti appena analizzati.
Dada e futurismo sono uno strappo netto con il passato. Movimenti artistici fluttuanti in un qui e ora nel quale non c’è programma altro se non la provocazione, lo scandalo.

Rileggere oggi i manifesti d’avanguardia, in un’epoca altrettanto incerta e ambigua, non può che spronarci a reagire riponendo nell’arte e nell’azione il desiderio di cambiamento.