“In Italia un libro su tre si vende a Milano”. In parte lo sospettavamo ma sentirlo dire da una persona che di libri vive, ne conosce i numeri ed è responsabile di collana, induce a una riflessione.
Vivere e lavorare in una città-bolla come Milano, fortino della cultura del paese, terra fertile su cui prima della pandemia fiorivano bookshop, librerie-caffetterie, negozi di riviste indipendenti e realtà virtuose come Rivista Studio e The Vision, è sempre stato motivo di orgoglio. Ma che senso può avere se il modello non viene replicato altrove? Milano non è lo specchio del resto d’Italia, anzi, pare essere talmente lontana da svuotarsi del valore che le abbiamo sempre riconosciuto. “Progetti un libro su una realtà del sud o del centro Italia e lo vendi solo a Milano, questo dovrebbe far ripensare anche all’idea di genius loci. È talmente ovvio che nessuno ci pensa, ma la libreria Armani può esistere solo a Milano, in qualsiasi altra città italiana non sopravvivrebbe”. Perché i libri si progettano, si curano, si confezionano nelle Marche – nel caso di Quodlibet – e poi si vendono a Milano? Perché un bookshop come quello della Triennale, fornitissimo di pubblicazioni internazionali su design e architettura, non esiste a Roma, sebbene siano lì le Università americane, una forte comunità di stranieri e luoghi come il Maxxi?
Manuel Orazi – responsabile dell’ufficio stampa e di tre collane di architettura di Quodlibet, insegnante, da anni attivo nel mondo editoriale – una risposta non ce l’ha, ma provoca il dibattito: “è un dato di fatto, una questione enorme: gli italiani non leggono. Ma quelli che leggono sono a Milano, sono persone che provengono da tutta Italia ma vivono lì. Dobbiamo iniziare a guardare il paese in modo diverso, più reale, perché i numeri vanno interpretati”.
Se parliamo di Quodlibet, che da ventotto anni pubblica saggistica e filosofia e il cui catalogo nel tempo si è aperto alla prosa d’arte, all’architettura – introdotta da Orazi – per arrivare alla narrativa di carattere umoristico (e non solo) con la collana emiliana di Ermanno Cavazzoni “Compagnia Extra”, parliamo di una rarità: “bisogna fare i libri buoni, quelli si vendono, penetrano. Dal nostro punto di vista, di chi ha sempre pubblicato saggistica, osserviamo divertiti le case editrici letterarie che vivono il dramma dalla ricerca di un nuovo Saviano che non si riesce a trovare. Stanno vivendo la crisi dei grandi autori”.
Quodlibet è nata nel 1993 a Macerata, fondata da un gruppo di studenti del filosofo Giorgio Agamben che aveva insegnato nell’università in città e, come spesso accade in questi casi, è stata il naturale proseguo di un progetto di rivista che si chiamava Marca. Il gruppo era guidato da Stefano Verdicchio, tuttora direttore editoriale. Da piccola casa editrice è divenuta oggi una realtà di medie dimensioni, con uffici a Macerata e a Roma. Se agli albori era di settore, ora si giova molto dell’interdisciplinarietà e cerca di offrire una struttura di pensiero “in Quodlibet cerco di pubblicare l’architettura pensante, non mi occupo di libri tecnici” – racconta Orazi.
Terminiamo la chiacchierata parlando di Italia all’estero. “In Italia ci sono solo due autori di saggistica che vengono tradotti in automatico: Carlo Ginzburg e Giorgio Agamben, due mostri sacri, e noi abbiamo la fortuna di averli entrambi in catalogo. Sui quotidiani italiani la letteratura, che all’estero non arriva, è considerata di serie A mentre il design di serie B. La realtà, però, è che esportiamo Aldo Rossi (tradotto in 37 lingue), Munari, Fellini, Mendini, Sottsass, Gio Ponti, Luigi Moretti, Carlo Mollino, Archizoom, Superstudio cioè il grande design, il grande cinema e la grande architettura”. Gli chiedo la ragione per cui, detto tutto questo, la Ferrante ha avuto successo all’estero. “Rientra nell’immaginario dell’Italia in braghe calate, con i suoi scandali non ancora sopiti, l’Italia de La ciociara e di Mediterraneo”.
Photo
Courtesy Quodlibet