L’ambiente come luogo
sociale e culturale

Il 22 aprile si festeggia l’Earth Day, la giornata mondiale della terra. Istituita dall’Onu nel 1970, è nata da un’idea del senatore americano Gaylord Nelson che riteneva fondamentale iniziare a portare all’attenzione del mondo le questioni ambientali.
Sono passati cinquantun’anni dalla prima celebrazione dell’Earth Day e, nel tempo, i temi di salvaguardia e tutela dell’ambiente sono entrati a far parte delle agende politiche di molti stati e di quelle economiche delle multinazionali. Oggi abbracciare valori come la sostenibilità e la protezione ambientale richiede a tutti noi non solo uno sforzo pratico nelle azioni quotidiane, ma soprattutto lo sviluppo di una profonda conoscenza e coscienza collettiva del territorio di cui facciamo parte e con cui ci relazioniamo. Conoscere e indagare l’impatto degli eventi naturali, essere aggiornati sugli studi e le ricerche scientifiche a riguardo, è un atto imprescindibile per la formazione di tale coscienza.


Approfondimenti fotografici come “Are They Rocks or Clouds?” della fotografa Marina Caneve certamente ci possono aiutare a compiere questo passo. «Il progetto è incentrato sulla costruzione di uno scenario per un’ipotetica futura catastrofe facendo riferimento a degli eventi che hanno avuto luogo in un passato relativamente distante». I fatti che racconta la fotografa si riferiscono alla tragica alluvione del 1966 in Trentino che, secondo gli studi idrogeologici sul territorio, si potranno ripetere tra una cinquantina d’anni. «Vivendo in Olanda e rientrando meno frequentemente in Italia, ho cominciato a guardare al territorio, inteso come geografico e sociale, con un interesse rinnovato. Da un lato provavo una sorta di fascinazione nei confronti delle montagne, mentre dall’altro ho cominciato a sviluppare uno sguardo disincantato che mi ha spinta ad avvicinarmi a questioni tematiche come la vulnerabilità e la fragilità delle terre alte. In particolare sono stata attratta dalla dicotomia bellezza-vulnerabilità e soprattutto, nel caso delle Dolomiti, dal fatto che possiamo leggerne la storia tra gli strati di roccia che si sovrappongono, caratteristica che in parte ne determina la fragilità».
Grazie all’aiuto di geologi come Emiliano Oddone, degli strumenti di monitoraggio del rischio idrogeologico del dipartimento di geologia del Cnr di Padova e di antropologi, l’autrice è riuscita a costruire una lucida indagine territoriale andando alla ricerca di una possibile misurazione del rischio per gli abitanti di quei luoghi dove si suppone possa avvenire di nuovo la catastrofe.


«Mi interessava capire – racconta la fotografa – non solo come questi esperti guardino al paesaggio, ma anche quali fossero i loro strumenti di misurazione del rischio. Allo stesso modo ho deciso di interpellare il professor Annibale Salsa per farmi aiutare a esplorare da un punto di vista antropologico la questione. Ho combinato questi due tipi di conoscenze con un’osservazione diretta, dettata dall’intuizione e dalla mia capacità di leggere lo spazio. Infine ho deciso di coinvolgere degli abitanti per lavorare sulla memoria culturale di questi eventi e al tempo stesso per rendere chiaro che il mio progetto non tratta nello specifico l’erosione dei versanti quanto piuttosto il nostro rapporto di uomini-abitanti con l’ambiente». Il progetto, divenuto poi libro grazie alla casa editrice Fw:Books e OTM nel 2019, ha come obiettivo quello di affrontare la storia degli eventi idrogeologici nelle montagne dolomitiche e, più in generale, come si formano le nostre memorie culturali di tali avvenimenti. Per raggiungere tale scopo l’autrice ha costruito un impianto narrativo articolandolo tra immagini d’archivio, testi e fotografie contemporanee scattate da lei in constante dialogo tra loro, ispirata dalla biblioteca di Aby Warburg. «Auspico situazioni di dialogo tra differenti discipline, in cui le arti, tanto quanto le discipline scientifiche, possano portare un contributo alle riflessioni su questioni ambientali. E la parola ambiente è da intendersi come luogo non solo geografico, ma anche sociale e culturale. Tutta la struttura del progetto ruota e si sviluppa attraverso collisioni tra saperi, che invitano a esplorare le contaminazioni tra modi diversi di osservare intorno a noi, che in fondo è quello a cui spero accada in futuro».

© Marina Caneve “Are They Rocks or Clouds?”, Fw:Books, 2019