Elettra Simos

EDITOR’S LETTER 

Sunday Best

Nell’autorevole Cambridge Dictionary si definisce Sunday Best: «your best clothes, which you wear on special occasions». L’espressione trova le sue origini nella cultura cattolica, dove l’abito “migliore” veniva riservato esclusivamente alla chiesa e alla funzione domenicale. Indossare un buon vestito, pulito ed elegante, per molti era considerato un modo per esprimere la propria riverenza verso dio, mentre per altri diventava l’occasione per impressionare i membri della comunità e mostrarsi al proprio meglio. Solo nella metà dell’Ottocento questa pratica assumerà il nome di Sunday Best all’interno della comunità afro- americana e, lungo il XX secolo, il suo significato ha acquistato varie sfumature, sopratutto negli Stati Uniti, come strumento politico, sociale e di protesta civile. Come scritto nell’introduzione dell’intervista di Melissa De Witte a Richard Thompson Ford, autore di Dress Codes: How the Laws of Fashion Made History (Simon & Schuster, 2021) e studioso di diritto alla Stanford University pubblicata nel giornale della stessa università, «da quando noi esseri umani ci vestiamo, abbiamo regole su cosa indossare e quando». 

In questo nuovo numero di inCf magazine abbiamo preso spunto dal concetto di “Sunday Best” per fare una riflessione sulla nostra contemporaneità. Partendo dall’opposizione tra l’abito del lavoro e quello della domenica o “abito buono”, ci siamo focalizzati sul confronto tra funzione ed estetica degli oggetti e chiesti come e quali siano gli elementi attraverso i quali oggi esprimiamo la nostra idea di “Sunday Best”. Se l’abito da lavoro, per il suo scopo, si definisce nelle caratteristiche di performance e comodità, il vestito buono si caratterizza, al contrario, per la sua estetica e una scarsa funzionalità. Così abbiamo analizzato quanto, nella nostra società del consumo di massa, sia diventata sempre più importante l’estetica di abiti e oggetti piuttosto che la loro funzionalità e resistenza nel tempo, e come questo fenomeno si sia rafforzato dagli anni Ottanta fino ad oggi con l’esposizione ai social network. Se per la comunità cattolica l’abito buono era simbolo della loro riverenza a dio o un mezzo per inviare messaggi ai membri della comunità, oggi, allo stesso modo, deleghiamo all’estetica dei vestiti che indossiamo, dei piatti che mangiamo e degli oggetti che acquistiamo la narrazione di noi stessi, dei nostri valori, desideri, di chi vorremmo essere e di come vorremmo essere percepiti dagli altri. Attraverso abiti e oggetti indossiamo delle maschere e mettiamo in scena una sorta di travestimento quotidiano, alla ricerca di un’identità che non sia solo espressione della nostra personalità ma che soprattutto ci definisca e ci legittimi all’interno della comunità di cui facciamo parte.

OH, COME ALL YE FAITHFUL! FASHION, RITUALS AND RELIGIONS: DRESSING UP FOR SUNDAY BEST WITH ELETTRA SIMOS text Elisa Carassai / photo Marco Lombardi «When Elettra asked me to interview her about “Sunday Best,” the first thing that came to mind, besides my grandmother’s weekly trips to the local…