INTERVIEW

«Il mio percorso parte dall’Università di Design della moda, dove mi sono approcciata per la prima volta alla fashion photography. Corsi come MetaProgetto dove si analizzano influenze e reference culturali per disegnare una capsule collection e Critica Cinematografica mi hanno aiutata a capire che il mondo visivo era il percorso che avrei dovuto percorrere». 

Nella sua intervista per inCf magazine, la fotografa Arianna Genghini ci ha raccontato la sua pratica artistica partendo dal suo percorso di studi e come, mano a mano, abbia scoperto la sua passione e urgenza nel costruire racconti fatti di immagini.

Prosegue: «dopo la laurea, ho partecipato a un master londinese con fotografi del calibro di Inez & Vinoodh e art director come Fabien Baron. Questo corso mi ha offerto diversi insights e insegnamenti, sia da parte professionisti del mio settore che dalla mia mentore che mi ha aiutata a compiere i primi passi. Dopo quattro anni dalla fine del master ho deciso di replicare la stessa esperienza e iscrivermi a masterclass.com, dove ho avuto la possibilità di ascoltare le video-lezioni di registi come Martin Scorsese e David Lynch e fotografi come Annie Leiboviz, e scrittori come Margaret Atwood o Aaron Sorkin». Ciò che trapela dal suo percorso formativo, costellato di incontri con grandi interpreti della cultura contemporanea, è la capacità di Arianna di cogliere spunti disparati e provenienti da diversi abiti per farli confluire nella formazione di un proprio linguaggio fotografico.  

«Ciò che mi ha spinto a scegliere la fotografia, e più recentemente il video, come forma espressiva è la possibilità di raccontare emozioni e storie che sento personalmente e di cui voglio rendere partecipi gli altri. C’è una tensione interna potente, una specie di urgenza, che mi porta a usare le immagini per raccontarmi. Ho affrontato molto di recente questo discorso del “lasciare la propria traccia” con un amico. Credo che ogni essere umano nasca con l’urgenza di lasciare un pezzo di se stesso agli altri e a mio modo, con la mia forma di espressione e la passione che metto nel mio lavoro, voglio mettere a nudo e condividere il mio mondo interiore davanti a chi guarda. In effetti credo che non avrei potuto fare altro nella vita se non scrivere storie e raccontarle visivamente».

Un percorso nato, dunque, che ha preso forma con il tempo e che mano a mano si è arricchito, e che continua tutt’ora, di referenze e ispirazioni che popolano, in modo più esplicito o meno, le immagini di Arianna. «Ho una lunga lista di riferimenti artistici e culturali, mi piace riempirmi gli occhi e la mente di informazioni e bellezza. Tra i fotografi che amo ci sono Harley Weir, a cui mi sento molto affine in termini di visuals e simbologia, poi i grandi come Helmut Newton, Nobuyoshi Araki e Robert Mapplethorpe. Tutti hanno messo il corpo e la sessualità al centro del loro lavoro con coraggio e curiosità. Ovviamente potrei citarne altri cento. Tra le artiste che mi influenzano di più troviamo Louise Bourgeois e Oda Iselin Sønderland, e recentemente ho scoperto durante il mio soggiorno a Parigi la pittrice Miriam Cahn; anche loro approcciano il discorso del corpo e della sessualità femminile in un modo che é nuovo, surreale e magico. Il cinema però è da sempre la forza motrice, insieme alla letteratura, della mia fantasia e creatività. Trovo che la parola, ma ancora più quando è accompagnata da immagini, suoni e musiche siano veramente potenti. Non a caso tra i compositori che ascolto regolarmente mentre lavoro o faccio ricerca ci sono Ennio Morricone, Francis Lai, Michel Legrand, e Pino Donaggio. Macino qualsiasi pellicola e serie tv degna di nota, da Hollywood alla scena indipendente mixandole con i cult, ma sempre seguendo il mio personalissimo gusto. Non posso non citare Sofia Coppola e Greta Gerwig tra le mie registe e sceneggiatrici preferite, insieme ai grandi Kubrick e Truffaut. Anche Bergman e Lynch mi affascinano grazie al loro sperimentare le immagini attraverso simboli e l’interpretazione dell’inconscio. Di questi autori, in ordine, i miei titoli preferiti: “The Beguiled” e “Lost in translation”, “Eyes wide shout”, “Jules et Jim” e “Les quatre-cents coups”, “Lady Bird”, “Scenes from a Marriage”, “Twin Peaks – Fire walk with me”. Sono anche una grande fan dei period drama: “The Age of Innocence” di Scorsese, “Pride and Prejudice” di Wright, “The Piano” e “The Power of the dog” di Jane Campion, “Marie Antoinette” di Coppola, “The Favourite” di Lanthimos, “Barry Lyndon” di Kubrick sono tra i miei titoli preferiti. In generale i film che ho citato sono tra quelli che amo rivedere più volte e che mi lasciano sempre qualcosa di diverso. Per quanto riguarda la lettura, nella grande varietà di libri che amo – spazio dai testi di psicologia e filosofia a romanzi e fiabe folkloristiche – ormai da qualche anno, prediligo testi femministi anglofoni. Cito Lisa Taddeo e Margaret Atwood tra le scrittrici che hanno influito di più nel mio percorso di crescita intellettuale, ridefinizione identitaria e auto-affermazione. I miei testi preferiti, “Three Women” della prima e “The robber bride” insieme a “The handmaid’s tale” della seconda approfondiscono in modo incredibile il desiderio femminile, le zone oscure della psiche delle donne e ci fanno riflettere su come navighiamo il mondo come esseri umani fatti di carne, di paure, desideri e di sesso».

Come il cinema, ma anche la letteratura, influiscano sul suo linguaggio artistico emerge sicuramente con grande forza dalle parole di Arianna, ma non di meno sono le sue immagini. A proposito di queste, abbiamo trovato interessante a questo punto capire e scavare più min profondità cosa significhi per lei creare delle immagini. «Creare un’immagine per me significa immergermi in un mondo completamente nuovo, stupirmi ed emozionarmi. A volte succede in modo spontaneo, altre invece é il frutto di uno studio e di una elaborazione precisa di ciò che ho in mente. A volte mi ipnotizza, altre invece è imperfetta e non soddisfa il mio giudice interiore. E’ parte della mia esperienza umana, é una proiezioni di me stessa e di cosa sento. Le mie immagini sono lo specchio di ciò che sono e vorrei che chi guarda potesse riflettersi dentro. Credo che siamo tutti unici e speciali e la fotografia, insieme alla regia, mi permettono di raccontare la mia interiorità e indagare le parti più sconosciute di me stessa, incontrando spesso nel mio percorso donne e uomini che condividevano la mia stessa esperienza, paure e desideri. Così si è snodato davanti a me il fine ultimo della mia opera: rappresentare tematiche personali con la speranza che gli altri riescano a immergersi e viverle in prima persona, riflettendo su se stessi, magari guarendo qualche ferita che li fa sentire incompresi. Come già anticipato, ho iniziato a scrivere e fare la regia di film. Sono partita dirigendo uno short film narrativo che incapsula perfettamente la dinamica spiegata qui sopra. Voglio continuare questo percorso per poi farne la mia professione primaria, insieme alla fotografia. Il prodotto cinematografico mi riempie in un modo del tutto nuovo: è complesso, profondo, stimolante e naturale, rispecchia esattamente chi sono come essere umano e artista. In conclusionedell’intervista le chiediamo se nel suo processo creativo ci siano dei punti fermi o meno e temi o storie che preferisce e sente il bisogno di raccontare rispetto ad altre.

«Il concept per un progetto video o fotografico viene sempre ispirato e influenzato dalla scena di un film che ho visto o dal passaggio di un libro che ho letto, o da una storia che ho sentito o letto. Un caposaldo del mio processo creativo consiste nello scrivere una sinossi, qualche riga che spieghi il progetto che ho in mente, accompagnato da un treatment. Tutti possono confermare che il treatment è fondamentale, ma non tutti apprezzano farlo. Io adoro fare ricerca e comporre un documento che presenti non solo la sinossi ma anche tutti i visuals e il racconto delle atmosfere e dei personaggi che voglio inserire nel progetto. Il treatment é la versione più elaborata e strutturata del moodboard. Creare un moodboard visivo é la prima cosa che ho imparato all’università: ricercare immagini che convoglino un’emozione, leggere la loro simbologia e editarle insieme al fine di creare una storia. Il motore di ricerca più usato all’università – e tuttora – è Pinterest, piattaforma su cui passo tantissimo tempo e scopro sempre nuovi riferimenti o chiavi di lettura di un tema su cui sto approfondendo. Più recentemente ho scoperto che anche gli archivi dei musei online e la ricerca di libri/prints/poster vintage. Ovviamente la visita di persona delle gallerie d’arte mi aiuta moltissimo a stimolare la mia creatività. Una volta che il treatment è pronto, inizio a pensare a tutto ciò che concerne la direzione artistica del team e del set, spesso aiutandomi con i miei stessi collaboratori e facendomi consigliare. Cerco di arrivare quanto più preparata possibile sul set, che sia video o fotografico, avendo fatto una shot list e un piano produzione. Ma poi finisce sempre che si corre o ci si dimentica dei pezzi per strada e si improvvisa, ci si dispera oppure ci si stupisce del risultato. Credo che tutti i colleghi possano confermare che il set fotografico è caotico e pieno di imprevisti. Il set video invece ha più struttura e poco è lasciato al caso, sono molto diversi ma entrambi presentano difficoltà e ostacoli. Pochi giorni fa ho riflettuto su cosa mi muove e in generale muove gli artisti, e il più delle volte la risposta è universale: il desiderio. La creatività è creazione, la creazione è istinto sessuale, il sesso è un’arte. E’ un cerchio. Il desiderio, in particolare quello femminile, è ancora oggi qualcosa di velato, poco conosciuto. E’ strano e disturbante, in un certo senso ti mette a disagio. Non credo sia provocazione, credo che sia qualcosa di naturale a cui non siamo abituati, come per esempio vedere il dipinto di Bourgeois che raffigura seni enormi e un ometto piccolo che si appende ai capezzoli, o le scene del Casanova di Fellini o sfogliare il suo libro illustrato dei sogni, guardare le fotografie crude di Mapplethorpe che studia il pene in erezione, oppure leggere di una donna che è felicemente sposata con un uomo che vuole che lei abbia rapporti sessuali con altri uomini in Three Women di Taddeo. Questi artisti che mettono in modo così coraggioso in mostra la loro interiorità e la loro sessualità per me è la più grande forma d’arte e a cui miro. Il tema del corpo e della sessualità insieme alla sensualità é, e rimarrà, sempre il tema centrale del mio lavoro, perché é pieno di simbologie e di significati che sono ancestrali. In aggiunta credo che lavorerò sempre più su tematiche legate anche alla psicologia e alle relazioni umane nei miei film e nei prossimi progetti come: i rapporti di forza tra i sessi, l’ambizione e la lotta.