INTERVIEW

«Sono sempre stato fortemente appassionato e attratto dal mondo dell’arte fin da quando sono bambino». Come per molti autori, anche per Marco Lombardi l’arte è una vocazione che sin dai primi anni è una costante nella sua vita, una vera e propria urgenza. «Essendo cresciuto in un piccolo paese di provincia questo mio interesse mi dava l’opportunità di poter evadere e scoprire realtà e mondi che ai miei occhi apparivano più attraenti e stimolanti, di conseguenza quando ho dovuto decidere quale liceo frequentare, l’artistico era l’unica scelta possibile. Durante gli anni del liceo, grazie a quest’ultimo e a ricerche personali, ho avuto modo di scoprire e approfondire diversi campi artistici, oltre alle arti visive, la moda per me è sempre stata al centro. Probabilmente perché l’ho sempre considerata un contenitore che riesce a racchiudere, mescolare e fondere pittura, scultura, design, architettura, oltre alla politica, sociologia e antropologia. La moda non è mai stata solamente abiti belli ai miei occhi». Una passione, quella per la moda, che Lombardi decide di coltivare a Milano. «Dopo il liceo decisi di volermi trasferire a Milano, in primis perché sentivo sempre più stretta la realtà provinciale e poi perché volevo frequentare il corso di Styling allo IED. Credevo che questa branca della moda potesse essere un buon compromesso che racchiudesse molteplici mie passioni e difatti così è stato. Fino a quando, durante la fine del secondo anno universitario, dopo un periodo nel quale cambiarono diverse cose nella mia vita, trovai nella fotografia uno specchio nel quale poter ricominciare a rivedermi e riconoscermi. Cominciai a notare nelle fotografie di moda che guardavo particolari o dettagli che non erano strettamente legati a quest’ambito, perciò iniziai a capire che legarmi all’ambito della moda attraverso lo styling sarebbe stato troppo limitante, per quello che avrei voluto esprimere e raccontare. Da lì a pochi mesi avrei cominciato la tesi e perciò presi la palla al balzo e decisi di volermi occupare anche della fotografia, non solo del lato moda, così da costruire, passo dopo passo, un mio primo vero progetto. Così ho avuto modo di conoscere e fotografare delle artiste, provenienti da differenti campi, le quali oltre a raccontarmi delle loro pratiche, mi hanno parlato dei loro spazi e delle case e degli oggetti che abitano e che hanno abitato – fulcro della mia ricerca. Al termine di questo studio ho realizzato che la fotografia, in quel momento preciso della mia vita, più che mai, è stata un mezzo per poter riscoprire il mio spazio attraverso quello dell’altro. È stato toccante per me ascoltare le parole di persone che nel concreto mi erano sconosciute e ritrovarmici. Le mie fotografie non parlano mai solo di moda, esse mi aiutano a raccontarmi e le sento necessarie per potermi vedere, spesso attraverso l’immagine di qualcun altro. Non so cosa cambierà con il passare del tempo ma in questo momento sento il bisogno di ricercarmi negli altri – nelle parole, nei capelli, nelle mani, negli abiti, nella timidezza, nelle gambe, nella discrezione, nella gentilezza, nella disinvoltura, nella cura, nelle case, nei letti, negli armadi, nella fragilità, nei libri, nel silenzio e nel rumore – e la fotografia mi aiuta in questo». 

Oltre a trovare ispirazione nelle persone e nei loro gesti e oggetti d’intimità, Marco Lombardi attinge anche dal suo retroterra di studio, trovando nelle varie forme artistiche molte ispirazioni. «L’arte in ogni sua forma è sempre stata di grande ispirazione per il mio immaginario; a partire dalle pitture delicatissime di Egon Schiele, Amedeo Modigliani, Felice Casorati e Balthus (negli ultimi anni ho scoperto i lavori di artisti un po’ più di nicchia come Andrea Salvino, Miss Goffetown e Shannon Cartier Lucy), alle sculture pregne di quotidianità di Louise Bourgeois, Félix González-Torres e Sarah Lucas, passando per la moda rigorosa e minimalista di Prada, Lemaire, The Row e Maison Martin Margiela degli anni ’90, fino ad arrivare alla fotografia di Mark Borthwick, Giasco Bertoli, Talia Chetrit e Anders Edstrom, capaci di catturare una sensualità che sento molto vicina alla mia sensibilità. Inoltre, influenzano il mio modo di pensare, di guardare ciò che mi circonda e di conseguenza di fotografare le parole di Ettore Sottsass (oltre alle sue opere) e quelle della poetessa Patrizia Cavalli. Un passo in particolare, «Ma per favore con leggerezza/ raccontami ogni cosa/ anche la tua tristezza» trovo che sia una poesia di un’umanità talmente sincera che mi commuove ogni volta. Allo stesso modo, il pensiero di Chandra Livia Candiani come «Il modo in cui guardiamo al nostro io è essenziale quanto lo sguardo stesso. Va allenato uno sguardo tenero, compassionevole, uno sguardo fermo che vede i limiti ma non si trasforma in giudice», quello della scrittrice Natalia Ginzbug e del filosofo Umberto Galimberti sono di grande ispirazione».

Produrre un’immagine per Marco Lombardi è una sorta di sintesi, un mix tra ispirazioni e le sue esperienze personali con la realtà che lo circonda. «Realizzare un’immagine per me significa dare a tutti gli effetti una forma materiale al mio sguardo, al mio occhio sul mondo, a come percepisco oggetti, persone estranee o vicine a me in quel determinato momento. Una cosa di cui mi sono reso conto è che la spontaneità delle persone mi attrae molto – il modo in cui una persona si tocca le mani, si lega i capelli o guarda gli oggetti – perché autentica e di conseguenza umana, ed è per questo che cerco di rappresentarla molto spesso all’interno delle mie fotografie, attraverso una sguardo discreto e gentile. Mi capita spesso anche di mettermi in una determinata posizione naturalmente e di pensare di poterla riprodurre all’interno di una foto. Per il momento mi sto concentrando solo sulla fotografia perché ho ancora molto da scoprire e imparare ma in un futuro mi piacerebbe sperimentare anche con il mezzo dei video».