«Fare la stylist per me non è stata una scelta, lo styling era qualcosa che mi ha appassionato sin da bambina. Poi a diciannove anni ho scoperto che quel gioco che per me era così istintivo, aveva una definizione ed era una vera e propria professione». Per Roberta Astarita, fashion stylist e creative consultant di base a Milano, comporre, sperimentare, raccontare storie attraverso i capi e i tessuti non è semplicemente una questione d’istinto ma fa parte del suo Dna e della storia della sua famiglia. «Mio padre è un artigiano che lavora i capi in pelle e le mie zie erano sarte molto rinomate nella Napoli degli anni Settanta. Da piccola, insieme a mia madre, mi divertivo a creare i vestiti con i loro tessuti e mi capitava di aiutare mio padre nella creazione delle sue giacche. Appena diplomata, mi sono iscritta al corso di fashion design all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Un giorno, durante un esame di fotografia, il mio professore mi fece notare che avevo una certa vocazione per lo styling, professione che fino ad allora non conoscevo. Nonostante abbia da sempre comprato tante riviste, rubandone molte anche a mia sorella che le collezionava, non avevo mai realmente messo a fuoco quali figure professionali e quali ruoli si celassero dietro alle immagini che popolavano i magazine. Così, appena laureata, decisi di trasferirmi a Londra, dove ho frequentato un corso in fashion styling alla Central Saint Martin’s. Dopo un anno decisi di rientrare a Napoli ma passarono pochi mesi e venni presa come stagista nell’ufficio stampa di Giorgio Armani a Milano. Certamente l’ufficio PR non era la mia aspirazione, ma pensai che sarebbe potuta essere un’ottima occasione per iniziare a comprendere il mondo della moda da vicino, conoscere diverse stylist e propormi loro come assistente. Dopo i sei mesi di stage, nonostante mi avessero proposto un contratto da Armani, decisi di dedicarmi a pieno allo styling. Iniziai subito a lavorare come assistente e, dopo poco più di un anno, cominciai ufficialmente come assistente stylist da Glamour Italia, passando poi per Vogue Italia e infine da Elle, dove ho avuto l’opportunità di entrare stabilmente in redazione, una lunga esperienza che mi ha fatto comprendere le diverse dinamiche redazionali. Ad oggi sono una stylist freelance, e riuscire ad esercitare questo mestiere, mi fa sentire fortunata. Per me, non è semplicemente un lavoro, è piuttosto un dare sfogo alla mia creatività, divertirmi e sfidarmi ogni volta. Creare, mettere insieme idee, fare ricerche, questo è ciò che mi fa sentire viva. In ogni mio progetto l’obbiettivo è di trasmettere un messaggio, guardare e attingere dal sociale, ricercare nelle mie esperienze personali qualcosa di cui sento il bisogno di raccontare».
Un’urgenza creativa che trova le sue radici profonde nell’immaginario e nelle tradizioni della città natale di Roberta, come lei stessa ci racconta: «Napoli, la mia città, è tra le mie più importanti fonti di ispirazione. Come diceva Eduardo De Filippo “è un teatro sempre aperto”. Le persone che la vivono, quello che raccontano sono per me fondamentali. Nei miei progetti personali amo costruire set con tanti personaggi diversi, sarà che sono la quinta di sei figli, ma mi piace molto avere set pieni di persone, cercare le loro particolarità e tirarle fuori con il mio styling. Un luogo di Napoli a cui sono fortemente legata, oltre ai suoi vicoli, è il cimitero delle fontanelle dove credenze sacre e profane si mescolano. Grazie a mio fratello invece, sin da piccola mi sono appassionata al cinema e all’arte. I film di Michelangelo Antonioni, Roman Polanski e di Federico Fellini, in particolare Amarcord, con i suoi personaggi, hanno spesso influenzato la mia creazione artistica e le storie che mi piacciono raccontare. Dall’arte invece attingo spesso ai colori di Matisse e a quelli degli artisti del gruppo dei Fauves, che lo stesso Matisse frequentava. Di loro mi affascinano i colori vivi, i disegni piatti e i tratti primitivi. Dalle opere di Picasso, invece, mi ispirano le sue forme cubiche e l’apparente caos dei suoi dipinti, mentre in Klimt apprezzo il suo sguardo sulle donne, in particolare Giuditta, sensuale ma allo stesso tempo forte e fiera. Credo che nel mio lavoro i riferimenti all’arte, sopratutto nei colori, abbiano una forte influenza».Non solo artisti e pittori del passato, ma tra i vari punti di riferimento di Roberta scopriamo anche nomi di fotografi e stylist contemporanee: «mi piace seguire il lavoro di Lotta Volkova, specialmente agli inizi della sua carriere, aveva un’impronta fortemente sociale interpretando lo stile sovietico che fa parte delle sue origini. Un’altra è Francesca Burns, in particolare per i suoi colori e perché per un periodo ha prediletto donne comuni alle modelle, scelta che spesso condivido anche nei miei lavori. Ultima, ma non meno importante, è Suzanne Koller, trovo che abbia uno stile sempre chic e che non sbagli mai. Tra i fotografi mi faccio ispirare dall’immaginario visivo di Glen Luchford per il suo stile cinematografico, Harley Weir per la sensualità dei suoi scatti e Alessandra Sanguinetti, in particolare la serie “Le avventure Guille e Belinda e l’enigmatico significato dei loro sogni”, perché alcune scene mi riportano alla mia infanzia con mia sorella minore. Poi c’è Carmine Romano, il mio fidanzato. Con lui ho iniziato a fare progetti prima che ci mettessimo insieme. Di lui mi piace molto il suo saper mescolare stile cinematografico e reportage, e grazie a questa sua predisposizione, sono riuscita a realizzare il desiderio di far vivere insieme questioni e temi sociali con la moda. Con Carmine ho dato forma a molte mie idee che ad altri fotografi non riuscivo a spiegare, siamo entrambi di Napoli e le nostre storie sono molto simili, per cui credo che anche per questo ci sia molta sintonia tra di noi».
Le tradizioni e le persone di Napoli, l’arte, l’immaginario dei grandi registi italiani, i temi sociali e la sua storia biografica, ma anche gli scatti dei grandi fotografi contemporanei, sono tutti elementi che caratterizzano i progetti di Roberta, tenuti insieme grazie alla sua capacità di saper tradurre e mescolare armonicamente tutte queste influenze in uno styling contemporaneo, giocoso e particolarmente identitario. «Nei miei progetti mi piace curare tutto. Gli abiti sono importanti ma altrettanto fondamentali sono i personaggi che li animano, le loro personalità, la scenografia. Più che allo styling spesso lavoro all’art direction vera e propria dei progetti. Il mio obiettivo è creare, rappresentare emozioni vissute, trasmettere un messaggio o uno storia che sento il bisogno di raccontare. Come ad esempio il progetto “Love letter from a young mother”, scattato con Carmine, in cui sentivo l’urgenza di raccontare quello che è successo a mia sorella quando aveva diciotto anni. Volevo celebrare e mostrare a tutti la sua forza e quella delle altri madri che si trovano giovanissime ad affrontare la gravidanza da sole. Oppure come un’altro mio progetto, dal titolo “Avere Vent’Anni,” una piccola autobiografia dove ho cercato di raccontare parte di quello che ho vissuto quando ero ventenne».
In conclusione della nostra chiacchierata con Roberta, tra le molte suggestioni emerse, ci viene spontaneo chiederle cosa significa per lei occuparsi di styling. «Per me creare uno styling significa raccontare una storia che sento forte il bisogno di far conoscere, ricercare nei dettagli, nelle mie esperienze e in quelle delle persone che mi trovo di fronte. Non ho mai visto il mio lavoro come fine a se stesso, piuttosto mi piace esplorarlo a 360 gradi, cercare i personaggi giusti, che abbiano carattere e che possano esprimere al meglio l’idea che vorrei rappresentare. Credo che, tutti noi, quando ci alziamo al mattino e decidiamo cosa indossare trasmettiamo qualcosa della nostra personalità, anche se pensiamo di non farci realmente caso, in realtà è il nostro io che parla e che in qualche modo rappresenta e definisce come ci sentiamo e chi siamo realmente».