«Fatico a trovare una definizione che descriva in una parola il mio lavoro» esordisce così Livia Satriano quando la incontriamo in un pomeriggio di fine estate. «Ho sempre lavorato nella comunicazione e mi occupo di ideazione di contenuti e di ricerca visiva, ma sono anche un’autrice e curatrice, ho scritto due libri, realizzato format radiofonici e curato alcune mostre. Quello che caratterizza principalmente il mio lavoro è la ricerca e l’approccio curatoriale. Mi piacerebbe definirmi “ricercatrice” e “curatrice” ma sono due termini legati a contesti specifici, come quello universitario o artistico, quindi non sempre corretti per descrivere il mio lavoro. Dovrò rassegnarmi a non avere un “job title“ preciso, e questo un po’ mi diverte: di sicuro riflette la mia curiosità e una certa dose di eclettismo».
Ciò che emerge dal suo lavoro è una profonda curiosità per ogni forma di espressione artistica.
«Tra le prime fonti di ispirazione ci sono state le avanguardie storiche: Dada e Surrealismo. Mi vengono in mente le stupende copertine di Picabia per la rivista letteraria “Littérature” di Andrè Breton. Sono molto legata poi a tutto un universo underground e DIY, nel cinema come nella musica: i film di Kenneth Anger e le meraviglie sonore di Joe Meek. Non posso non citare inoltre la grande influenza che hanno avuto, e hanno tuttora su di me, quelle che vengono definite outsider art e outsider music, ovvero tutta quell’arte e quella musica prodotta da autodidatti, fuori dai circuiti artistici e musicali convenzionali. Penso all’opera di Henry Darger, o nella musica agli artisti scoperti (e riscoperti) dal giornalista americano Irwin Chusid, il suo libro “Songs in the key of Z” resta un caposaldo della mia biblioteca. Tra gli italiani penso a Dino Buzzati. Mi vengono in mente i suoi racconti e gli articoli raccolti ne “I misteri d’Italia” ma anche la sua attività di artista visivo, con le illustrazioni e i quadri. Gli ex voto che ha dipinto ne I miracoli di Val Morel sono una mia grande ossessione.
Un altro punto fermo è l’editore francese Jean-Jacques Pauvert, la rivista Bizarre, le sue edizioni e le bellissime pubblicazioni tematiche, come la collana Bibliothèque internationale d’érotologie. Per passare a oggi, su Instagram ammiro molto il lavoro del curatore e artista canadese Micah Lexier, la sua pagina è una vera wunderkammer di oggetti trovati e immagini di grande ispirazione. Come la pagina Stopping Off Place dell’artista sempre canadese Michael Dumontier dove il focus non è solo sull’immagine, ma anche sul potere della parola scritta».
Tra i tanti interessi di Livia Satriano uno spicca su tutti, è una vera e propria ossessione per il collezionismo: «Quand’ero piccola collezionavo di tutto, avevo tante piccole raccolte allo stesso tempo: monete, conchiglie, cartoline, adesivi, biglietti dei musei, gomme da cancellare dalle forme bizzarre. Tutto quello che catturava la mia attenzione o mi sembrava raro o degno di nota lo raccoglievo e lo mettevo da parte, suddiviso per categorie. Penso venga da lì la mia fissa per la ricerca e per l’andare a scovare cose particolari, come l’attitudine di raccogliere e indicizzare».
Nell’azione di accumulo di una categoria di oggetti, passato e presente in un certo senso si incontrano: «Non mi piace pensare seguendo una linea retta “passato-presente” dove tutto quello che c’è stato necessariamente precede quello che c’è oggi, e dove tutto quello che c’è oggi è necessariamente contemporaneo. Mi piace piuttosto immaginare il mio mondo come un flusso continuo, circolare, di immagini e suoni, di tutto quello che ho visto e vedrò, ho ascoltato e ascolterò. In questo flusso senza tempo le cose a sua volta si incontrano, si contaminano, si commistionano.
Ci sono espressioni artistiche del passato che sono state così di rottura da essere avanti anni luce rispetto alla loro epoca, allo stesso modo esperienze più recenti magari sono solo derivative e non propongono nulla di nuovo. Insomma, vecchio e nuovo sono concetti sempre relativi e mi piace pensare che lo siano anche passato e presente. Siamo tutti immersi in questo flusso incessante di stimoli e chi fa un lavoro creativo inevitabilmente ne è a suo modo influenzato. Forse la chiave per fare qualcosa di nuovo è riuscire a tenere gli occhi e le orecchie più aperti possibile verso tutto quello che c’è intorno a noi, anche e soprattutto verso ciò che è diverso da quello che istintivamente associamo al nostro gusto».
«Da piccola volevo fare l’archeologa, – prosegue il suo racconto – ero interessata a frugare in un passato di cui si intravedevano segni e tracce, ma che non era del tutto manifesto. Penso che questa mia ossessione derivi in parte da questo. La storia spesso ci ha dimostrato che non per forza quello che viene considerato di successo e “mainstream” in un dato periodo storico sia destinato a essere ricordato o sarà rilevante anche per i posteri: artisti o scrittori non considerati nella loro epoca si sono poi rivelati i più grandi autori delle loro generazioni, basti pensare a Kafka o a Van Gogh. È proprio per questo motivo che per me è più stimolante andare a ricercare al di sotto della superficie. Quel senso di stupore e sorpresa è ciò che bramo: potersi stupire come farebbe un bambino. È una sensazione bellissima, soprattutto in questi tempi sovraccarichi di sollecitazioni».
Credits:
D. Buzzati, “I miracoli di Val Morel”, 1971. In gallery edizione del 1983 dal titolo “P.G.R. Per Grazia Ricevuta. I famosi ex-voto di Buzzati da lui stesso illustrati”.