testo di Enrico Ratto
«Lo definiva il suo castello affacciato sul Mediterraneo, 3,66 x 3,66 metri, tredici metri quadrati nei quali Le Corbusier ha voluto fare entrare l’utopia di una vita: la perfetta macchina per abitare, questo era la casa per l’architetto franco-svizzero, immersa nella natura. Siamo a Roquebrune-Cap Martin, tra Monte-Carlo e il confine italiano, un tratto di costa a cui si accede solo percorrendo lo storico e impervio sentiero dei doganieri.
Il luogo e il progetto sono talmente iconici che oggi sono decine i libri che ne narrano i retroscena e che tentano una interpretazione che sembra sempre sfuggire. Perché, a questa storia, manca sempre qualcosa? Che cosa non capiamo, ancora oggi, del Cabanon di Le Corbusier? In fondo ogni grande architetto ha lavorato intorno a una utopia, a un modello che potesse sintetizzare la propria visione del vivere, dell’abitare. Ma i modelli di Le Corbusier erano così visionari e intervenivano così nel profondo dell’esistenza che, pur essendo decine le sue realizzazioni nel mondo, solo nel Cabanon è riuscito a tradurre in pratica il suo pensiero, senza vincoli se non quelli imposti dalla natura. L’architetto, attraverso la pratica, è diventato parte del progetto, e forse questa è la vera utopia»
Photo: per gentile concessione de Fondation Le Corbusier