«Allora, in realtà ho iniziato a scolpire perché dopo gli ultimi due anni di reclusione non mi andava più di dipingere. Nella pittura ho cercato un’astrazione più futurista, ma non volevo che fosse un orpello. Non voglio fare una linea perché è fingo che sia sintetica. Voglio che venga da un qualcosa. Ho sempre lavorato per sintesi, per fasi, quindi da un qualcosa come un’immagine digitale, un’immagine rubata da un posto, da un viso. E poi faccio la mia sintesi, dinamica, in movimento. Nella scultura di cemento è difficile riprodurre il movimento, per sua natura è statico. Però quei tagli nei collant, per me, sono lo stesso tratto nero che ritrovo nella mia pittura. Passare al tridimensionale è stato difficilissimo, sofferente anche se liberatorio».