Interview

Cristiano Volk è originario di Staranzano, un piccolo paese nell’Italia nord-orientale. All’età di vent’anni sviluppa una passione per la musica, il cinema e la letteratura che presto lo condurranno alla fotografia. «Era un periodo molto intenso e ricordo di aver guardato un film ogni giorno. Da lì il passo verso la fotografia è stato piuttosto immediato. E sono arrivato al tipo di lavoro che creo con un linguaggio specifico, grazie ai miei due insegnanti: Massimo Mastrorillo e Federico Clavarino. Mi hanno formato e influenzato il mio modo di approcciare la fotografia, così come i tanti autori che ho studiato tra i quali Paul Graham, Walker Evans, Jason Fulford, Guido Guidi, William Klein, Michael Schmidt, Larry Sultan, Wolfgang Tillmans, Richard Mosse». Ancora oggi il cinema, la musica e la letteratura sono le fonti d’ispirazione dalle quali attinge per dare forma al suo linguaggio creativo. «Mi piace trarre ispirazione da varie forme artistiche. In particolare la musica e il cinema sono state un bel trampolino di lancio per immergermi nel mondo della fotografia. Ho sempre adorato la poetica di Leonard Cohen, del quale ho avuto la fortuna di vedere a Firenze nel 2010 un suo concerto in Piazza Santa Croce. Sono molto appassionato anche di Sufjan Stevens, un cantautore americano che a mio modo di vedere ha segnato la storia del cantautorato a partire dagli anni 2000. Tra i gruppi ci sono: i Pulp, i Radiohead, i Cure, gli Smiths, il dream pop dei Cocteau Twins, i Beatles e i Sigur Ros, anche se in realtà la lista è quasi infinita. Nel mondo del cinema sono appassionato dei film dei grandi maestri del passato come Tarkovskij, Kieslowski, Fellini, Kubrick, Coppola, Woody Allen e Kurosawa. Il mio film preferito è Stalker dello stesso Tarkovskij. Amo anche i testi sul capitalismo di Mark Fisher – mi hanno dato una notevole mano per il mio recente lavoro Laissez-Faire. I progetti fotografici, invece, che mi hanno più influenzato sicuramente c’è Evidence di Mike Mandel e Larry Sultan, New York di William Klein, Waffenruhe di Michael Schmidt e Neue Welt di Wolfgang Tillmans ma posso anche citare artisti come Paul Graham – probabilmente il mio preferito – Walker Evans, Jason Fulford, Guido Guidi, Michael Schmidt e Richard Mosse. Tra i pittori apprezzo molto il lavoro di Gerhard Richter, Emilio Vedova, Helen Frankenthaler, Mark Rothko, Vangjush Mio, Alexej Von Jawlensky.  E poi c’è lo sport, qualcosa di cui sono appassionato da sempre, che sebbene possa sembrare qualcosa di fuorviante, nel rapporto con l’arte essi sono in realtà interconnessi più di quanto immaginiamo. Come non possiamo definire arte il diritto di Federer – lo scriveva pure David Foster Wallace in Infinite Jest – oppure i passaggi di Stockton a Malone e i tiri a parabola di Stephen Curry?»

Proseguendo l’intervista gli chiediamo quale valore dà all’immagine. «Per me un’immagine è il rapporto tra coscienza e oggetto. Fotografo quel determinato oggetto e con quel determinato punto di vista per un motivo specifico. E proprio quel tipo di immagine mi deve sorprendere come fosse qualcosa di nuovo che non ho mai visto prima, senza necessariamente raccontarmi qualcosa.  I miei progetti si evolvono man mano che raccolgo il materiale e vivo l’esperienza. Fare una fotografia per me non è visualizzare un pensiero fatto ma è visualizzare un pensiero che si sta formando. Ho sempre condiviso il concetto di Guido Guidi che dice: “il progetto si vede alla fine, non certo all’inizio, perché all’inizio non c’è progetto”. In una prima fase progettuale credo che l’importante sia uscire e fare, senza particolari pensieri nella testa. E anche quando si è nel mezzo del progetto ritengo sia importante analizzare e pensare allo sviluppo da casa e non quando si fotografa, perché si rischierebbe di essere troppo schematici nella fase dello scatto e si perderebbe una sorta di spontaneità e curiosità. I viaggi che faccio solitamente per fotografia sono diametralmente opposti a quelli che intraprendo per piacere. A me piace molto la pace e la tranquillità, poi quando decido di fotografare questi sono completamente differenti e anche ciò che mi attrae raccontare si trasforma. Ad esempio nei vari racconti del regista David Lynch che ricordo lui parla spesso dell’attrazione per Philadelphia e per ciò che rappresentava nei suoi anni di studi: “La paura, la follia, la corruzione, la sporcizia, la disperazione, la violenza nell’aria erano così belle per me.” Quando passeggio con la macchina fotografica in mano resto particolarmente attratto da soggetti o dettagli a cui la maggior parte delle persone non presterebbero attenzione e il mio sguardo si sposta a 360 gradi, proprio perché sono consapevole che ogni passo che faccio la prospettiva di ogni cosa cambia e un dettaglio apparentemente insignificante può diventare qualcosa di attraente solo cambiando la prospettiva».

Riguardo i temi che Cristiano affronta nei suoi progetti ci ha raccontato che «il tema dell’alienazione si trova spesso al centro del mio lavoro. Nella mia pubblicazione del 2019 dal titolo Sinking Stone ho affrontato l’esperienza sconnessa del turismo in continua decadenza di Venezia, mentre nel mio libro fotografico del 2020 Mélaina Cholé, ho estratto la natura della depressione attraverso immagini del pianeta terra visto dallo spazio. I miei soggetti possono prendere strade diverse e tortuose ma l’esperienza umana è sempre la chiave. Nel mio ultimo progetto, Laissez-Faire, non faccio eccezione». Concludiamo il nostro incontro chiedendo a Cristiano il suo punto di vista sullo stato della fotografia contemporanea e della crescente  mercato dei fotolibri: «in questo periodo storico il libro fotografico sembra essere diventato a tutti gli effetti imprescindibile e sebbene trovo che ci siano degli autori formidabili tecnicamente, penso che dovremmo focalizzarci nel provare a raccontare un progetto con un punto di vista unico.  Escono libri di fotografia ogni giorno e il tutto sta diventando particolarmente saturo. A volte mi chiedo quanti sono i libri di fotografia usciti in tempi recenti che ricorderò tra dieci anni? Ad ogni modo non vorrei essere troppo negativo e penso che ci siano degli editori che lavorano molto bene come ad esempio:  Hartmann Books, FW:Books, Art Paper Editions e Chose Commune».

Credit:

W. Tillmans, The Spectrum Dagger